domenica 30 agosto 2015

Nihil admirari

Internet è un posto bellissimo. È un posto in cui la gente tira fuori il meglio e il peggio di sé in una maniera così grottescamente semplice da rendere inutili, quasi ridicoli, tutti gli esperimenti psicologici volti a dilatare intenzionalmente lo spettro dell'emotività umana. Tuttavia, una tale macchina miracolosa ha bisogno di un carburante altrettanto peculiare e credo di poterlo individuare con una certa accuratezza negli scandali, luculliano pasto di cui si nutre questo Erisittone elettronico che, quando non ne trova al di fuori di sé, sa come crearseli. Lo scandalo su Internet, questo gioioso e spietato compendio d'umanità, può essere costituito da tutto: avvenimenti più o meno insoliti, ingiustizie dal carattere più o meno marcato, ma anche fatti di ordinaria e irrilevante quotidianità elevati a bizzarrie da circo da gente annoiata dalla constatazione della vanità della propria esistenza in cerca di un motivo qualsiasi per essere ricordata dai posteri. Nonostante alla terza categoria fra queste io stessa abbia appena dedicato una menzione particolarmente lunga, trovo che la più interessante resti la seconda: le ingiustizie, ovvero il male quotidiano. La gente si sorprende, si meraviglia del male e della sua stessa esistenza. Si scandalizza per il politico che ruba, per il criminale che stupra le ragazzine, per la moglie che ammazza il marito e via dicendo. Da un lato mi fa abbastanza piacere che a far notizia sia il male, considerato ancora come l'eccezione, e non il bene (tremo all'idea di un mondo in cui i telegiornali trasmettono le buone notizie per consolare la popolazione), ma dall'altro i nasini che si storcono indignati per un banale furto ai danni dello Stato o per l'ennesima strage familiare mi strappano al massimo qualche sorriso.
Studiare e appassionarsi alla storia è qualcosa che ti cambia davvero la vita e fa sentire quasi superfluo il desiderio di conoscere cosa avverrà nel futuro: ti fa uscire dal piccolo angolo della piccola epoca in cui ti ha relegato la sorte e ti pone al centro della stanza del tempo (non gasatevi, non è Dragon Ball). Ti mostra nella maniera più naturale del mondo che tutto quello che accade e potrà mai accadere è già accaduto. Che bisogna avere un po' di pazienza con chi rimane stupefatto alla notizia degli inciuci, non so, nella Roma repubblicana o nella Firenze rinascimentale, e tuttavia concepisce lo scorrere del tempo come una retta di un grafico a proporzionalità diretta, come una consolante linea obliqua che punta verso l'alto, come la rappresentazione più elementare del progresso. Il progresso, già. Sono ancora in molti a pensare che, col passare del tempo, l'umanità progredisca. Insomma, prima c'erano le candele e ora ci sono le lampadine, prima c'erano i piccioni viaggiatori e ora ci sono i telefoni, prima c'era la schiavitù e ora no, prima le donne non potevano votare e ora sì. Chi avrebbe mai il coraggio di dire che questo non è progresso? Nessuno, credo. O meglio, nessuno che sappia fare delle dovute distinzioni. Sia chiaro, non è che non credo che i miglioramenti non possano avvenire in linea generale, è solo che penso che il progresso vero e proprio sia mero appannaggio della scienza e della tecnologia: ogni anno si scoprono cose nuove e la conoscenza avanza, la nostra capacità di manipolare la natura si affina notevolmente e siamo tutti più contenti (beh, quasi tutti, ma quella è un'altra storia). Ma il nostro animo, i nostri sentimenti, tutta la nostra sfera emotiva, i nostri istinti... beh, quelli sono gli stessi da secoli: pensate alla nostra sublime capacità di rispecchiarci in una poesia di Catullo, in un trattato di Machiavelli, in un romanzo di Hugo. Ogni minuto amori e odi si intrecciano come dieci, cento e mille anni fa, e di conseguenza anche concetti come l'etica e la morale, che di concreto non hanno nulla, seguono la medesima scia. Ad esempio, perché mai dovremmo aver ragione noi e le nostre posizioni antischiaviste rispetto ad un dominus di duemila anni fa che sull'acquisto e lo sfruttamento di esseri umani basava il sostentamento della propria casa? I miei compagni d'epoca obietterebbero che noi diamo valore alla vita umana ed evitiamo la sofferenza, ma chi dice che la vita umana abbia valore? Gli uomini e le carte del nostro tempo, ma questa non è un'argomentazione valida. La teoria del miglioramento che avanza parallelo al tempo non ha ovviamente alcun solido pilastro su cui appoggiarsi, se non altro perché, per esempio, la parentesi nazista si colloca tra gli anni 30 e 40 del secolo scorso ma dubito che siano in molti a ritenerla un passo avanti rispetto alla Belle Époque, tanto per dirne una. Dunque, se si esclude un principio superiore all'umanità che stabilisca l'essenza del bene e del male proprio in virtù della sua natura superiore, ecco, io credo che tutti abbiano il diritto di stabilire cos'è bene e cos'è male. Noi abbiamo determinate leggi perché ci troviamo in una determinata porzione di tempo e di luogo, tutto qui, e quando tentiamo di giustificarle con il fantomatico buonsenso stiamo semplicemente dicendo che una cosa è giusta perché ci è stata trasmessa così. Il male, quindi, o quello che ciascuno percepisce come tale (e qui diamo per buona la concezione che ne è stata fatta in pressoché l'intero mondo occidentale, se non altro perché è quella che condivido io per buona parte quindi in caso contrario arrangiatevi), esiste da quando esiste l'umanità: non sarebbe meglio farsene una ragione? Non arrendersi, non accettarlo, non rassegnarsi: soltanto smetterla di cadere dalle nuvole e opporvisi giorno per giorno o, perlomeno, provare a farlo rientrare nei margini; il bene assoluto non è di questo mondo ma dobbiamo comunque tentare di avvicinarci il più possibile. A chi il male lo vede come una realtà quotidiana riesce più facile combatterlo rispetto a chi se lo figura come una specie di nemico di Sailor Moon che appare ogni tanto fra le pagine di cronaca e ha sembianze soverchianti tipo nuvolona nera di fumo generata da eruzione del Vesuvio. Assassini, imbroglioni e criminali vari proliferano sin dalla notte dei tempi: più che sperare in una loro redenzione di massa o in una utopica e subitanea cancellazione del male per effetto di qualche nuova legge (qualcuno crede davvero che dire agli stupratori che stuprare è sbagliato o ai ladri che rubare è sbagliato farà cessare le loro malefatte? insomma, loro non la vedono così, e se volete che facciano altrimenti dovete piegarli al vostro volere con la persuasione, non facendo leva su un ipotetico concetto di giustizia spacciato per universale solo perché condiviso dai più), credo sia meglio puntare alla propria educazione e quella della propria prole e iniziare a comportarsi bene da sé. Il male esiste. Nasce con noi e ogni volta che qualcuno pensa che si sia raggiunto il fondo e si meraviglia quando viene smentito perché ormai si è iniziato a scavare, esso si nutre del nostro sconcerto, della nostra incapacità e della nostra paura di fronteggiarlo. Ma il pozzo in cui viviamo non ha fondo; tutto è possibile. Non lanciatevi in grandi progetti, combattete le vostre piccole battaglie con la massima naturalezza di cui siete capaci: insomma, state buoni (e filosofi) se potete, tutto il resto è vanità.

domenica 8 marzo 2015

Cuique suum

Oggi è la festa della donna. O la giornata della donna. O qualcosa del genere. Comunque si festeggiano/commemorano tutti gli esseri umani dotati di tette e Amica Chips perché, ecco, hanno le tette e l'Amica Chips: essi, secondo stime personali, si aggirerebbero attorno alla metà dell'attuale popolazione umana. Rientro anch'io in quella metà, e vi assicuro che nell'essere donna non c'è nulla di... come dire... stimolante, anomalo, emozionante o mistico. Forse perché vivo una vita miseramente normale e, boh, ormai noi e gli uomini, almeno qui, facciamo praticamente le stesse cose. O forse vivo la mia femminilità in un modo così istintivo e naturale che non mi accorgo neanche di viverla: se mi chiedessero di identificare e catalogare la femminilità (la parola mi fa venire in mente cucine e vestitini a fiori anni '50), non lo saprei fare, però nonostante questo riesco inspiegabilmente a notare quando qualcuno è più mascolino/femminile del solito.
Dunque, oggi mi è capitato sott'occhio quest'articolo e, alla luce riflessa di questo disarmante ventunesimo secolo, ci ho pensato su. Un sacco.
So che state ridendo in sottofondo (tu, all'ultima fila! ti ho visto!), ma ci ho pensato davvero.
E alla luce di cotanta riflessione non riesco a dire che: "ammazza che stronza".
La storia del rapporto a tre non è esattamente una di quelle che mi stanno proprio simpaticissime, così, a pelle, ma boh, dato che io non sto nelle mutande degli altri, che facciano ciò che vogliono. Il problema è che questa tizia sta con due uomini contemporaneamente e uno dei due non lo sa. Questo, a casa mia, si chiama tradimento. E il tradimento non è esattamente una bella cosa, nemmeno quando viene infarcito da una retorica così deviante e artificiosa (o comunque l'ultima volta che ho controllato non era una bella cosa: non vorrei che nell'ottica relativista del mondo di oggi fosse diventato anche comunemente lecito stimarlo e apprezzarlo - se, sic effata, ho urtato i sentimenti di qualcuno, non chiedo scusa).
L'apologia di se stessa scritta da questa donna suona come il magnifico corollario esposto dai perbenisti per cui sarebbe più corretto chiamare il bidello "collaboratore scolastico" e il netturbino "operatore ecologico" per... come dire? cancellare lo stigma sociale che etichetta questi due lavori come umili. Il problema è che in effetti questi lavori sono umili, ma non per questo meno dignitosi. Se un bambino che è figlio di un politico sfondato di soldi prende un giro il figlio di un bidello, la soluzione non sta nel cambiare nome alla sostanza, sta nel far capire al moccioso rompiscatole che nella sostanza non c'è nulla di male.
E così qui. Ammettiamo che si possa provare amore per due persone in egual maniera come dice la signora: non è forse giunto il punto di chiedersi se le altre due persone coinvolte sono d'accordo? A quanto pare no.
Sono innamorata di entrambi e quel che so è che la monogamia è una gran stronzata e farei bene a dirlo con chiarezza soprattutto a me stessa. Mi piacerebbe riuscire a dirlo a mio marito ma sono certa che lui mi lascerebbe e io non ne capirei proprio la ragione.
Devo commentare seriamente?
La proprietaria del blog dice che questa è una storia (quasi) vera. Ammettiamo pure che questa storia sia totalmente falsa: a prescindere da questo articolo, so che là fuori ce ne sono parecchie, di persone che la pensano così, e una l'ho pure incontrata e mi son dovuta perfino sorbire le sue pomiciate con l'amante (o fidanzato numero 2, chissà). Tesoro, ora che hai chiarito con te stessa che la monogamia è una gran stronzata, faresti bene, se non altro per onestà intellettuale, a condividere la tua idea col tizio a cui hai giurato fedeltà eterna. E se ci riesci, anche a metterti nei suoi panni: quest'uomo non è uno che si è ritrovato davanti un amico che gli ha detto "senti, ma tu vuoi sapere o non sapere se tua moglie ti tradisce?" e ha scelto la seconda opzione per il quieto vivere o per chissà quale altro motivo, è un poveraccio a cui la possibilità di scelta non è stata data.
Il sesso che faccio con il mio amante migliora la qualità della relazione con mio marito e viceversa e non capisco come mio marito, per esempio, possa essere felice solo restando con me.
Perché magari ti ama, donna. Perché accetta tutto di te, anche quello che non è come lui vorrebbe. Perché è questo l'amore: riuscire ad amare qualcuno che non è se stesso come se stesso. Siamo tutti bravi a voler bene alle nostre fotocopie, a coloro che ci corrispondono in tutto e per tutto: l'abilità sta nel saper convivere anche quando le opinioni divergono, e questo accadrà sempre, oh se accadrà, perché semplicemente non possono esistere due persone perfettamente uguali e concordi in ogni tempo. Esiste il sacrificio: se è unilaterale è schiavitù, se è bilaterale è amore. Poi tra l'altro dar tutta la colpa a questo insopprimibile richiamo del sesso è francamente offensivo per l'intelletto di un qualunque essere umano: le bestie ragionano con gli organi sessuali, non gli esseri umani. Vogliamo mica ritornare all'epoca in cui perfino uno stupro era giustificato con un becero "svuotarsi le palle"?
Ne hai bisogno, confessalo a te stessa, perché non riusciresti a restare chiusa in un rapporto a due senza gli stimoli che arrivano da altre persone. 
So di essere tremenda perché mi sto infil(tr)ando in discorsi in cui a ragion veduta non c'entro una ceppa dato che, per quanto riguarda la sfera amorosa, mi piazzo giusto un gradino sopra ad Anastasia Steele perché almeno io mi depilo e qualche volta ho sognato roba bum bum (non è che sono frigida - o forse sì -, diciamo che per ora aspetto l'amour e basta), ma probabilmente l'idea di relazione di questa tizia implica una gelosia e una possessività senza precedenti. Laggente, in genere, oltre ad avere un compagno, ha contemporaneamente anche degli amici: se il fatto che ad un mio ipotetico fidanzato non piaccia la serie televisiva per cui sto impazzendo nelle ultime settimane mi frustra così tanto, vado a fare la fan disagiata con un amico o un'amica, no? Anche perché dubito che vi venga voglia di farvi la prima persona con cui scoprite di avere qualcosa in comune o con cui avete comunque solo quella cosa in comune: se vi succede così, altro che amore, ci vuole la psicoterapia.
Noi siamo fatte per il matrimonio, per i figli, non abbiamo bisogno d'altro, questo è quel che pensano.
In genere questa è l'introduzione delle lagne delle fanciulle che credono che la vessazione subita dalle loro antenate in passato abbia bisogno di una vendetta a valore retroattivo, e infatti qui siamo più o meno nella stessa situazione. Il marito della tizia non è un violento, non è un maschilista, non è uno psicopatico, non è un criminale (però a quanto pare è bigotto, almeno una colpa gliel'abbiamo trovata): di cosa si lamenta lei? Perché tirar fuori la chiosa sulla gelosia eccessiva visto che non mi sembra che lei ne sia vittima? Si è lottato per ottenere pari diritti e pari doveri, cocca, per cancellare le disuguaglianze, non per favorire il tuo personalissimo modo di vivere la sessualità. Ai mariti era concesso essere infedeli e alle mogli no? E allora ben venga che anche ai mariti non sia più concesso essere infedeli, miseria benedetta! Erano loro a dover riguadagnare il valore, non noi a perderlo (parlo ovviamente degli stereotipi, perché è ovvio che nella vita reale ci fossero anche uomini fedeli e donne traditrici)! Se poi volete creare relazioni sentimentali aperte, iniziate col dirlo apertamente: ma tu guarda se mo il cornificio se deve chiamà emancipazione.
C'è poi un motivo per cui la promiscuità è sempre stata guardata male e la prostituzione ancora di più: usare il proprio corpo con tutti viene appunto facile a tutti, e sfruttarlo per il proprio mestiere ancor di più (voglio dire, un medico deve studiare dieci anni, per dar via le Amica Chips e le controparti maschili non servono lauree e contrallauree). Poi fate vobis, distribuite piacere a chi volete, ma almeno siate onesti. Con voi stessi e con gli altri.
Auguri, donne, ché qua in Occidente ce l'abbiamo praticamente fatta. E grazie al cielo abbiamo avuto leitmotiv più interessanti della bombata libera.

sabato 21 febbraio 2015

Audacter calumniare, semper aliquid haeret

[avrei dovuto scriverlo prima ma grazie al cielo ho aspettato perché una conferenza sul terrorismo e la libertà di parola - a cui sono stata costretta a partecipare, ma vabbè - mi ha offerto nuovi spunti di riflessione. Tiè.]

Sappiamo tutti dell'attentato di Parigi.
Sappiamo tutti cosa c'era dietro, cosa c'è stato e cosa ci sarà.
Sappiamo tutti che i populisti, i complottisti (pentastellati o meno) ed altri esseri indegni che rispondono al nome di leghisti ci hanno marciato sopra come i fascisti a Roma nel '22 per giustificare, come da agenda, il loro razzismo (che mi sarebbe piaciuto definire "latente", ma ormai non si sforzano nemmeno di nasconderlo).
E chi trascorre su Internet almeno un briciolo del suo tempo sa che è stato lanciato l'hashtag #JesuisCharlie per mostrare sostegno alle vittime dell'attentato. Chi invece passa sulla rete qualcosa di più di un briciolo di tempo avrà notato anche l'indignazione scatenata negli utenti più sensibili dall'uso smodato di suddetto hashtag, diventato in un tempo sospettabilmente breve un fenomeno virale, spesso accompagnato dall'immagine di matite, spezzate o no, a simboleggiare l'attività svolta dalle vittime. Nulla di nuovo sul fronte occidentale, si dirà: ricordare chi ha perso la vita in un evento di tale portata è la prassi per tutti, darsi al più becero sciacallaggio è prerogativa di pochi (spero), ma, più in generale, esprimere una propria opinione riguardo l'accaduto è cosa più che normale e in un certo senso perfino lodevole (tremo all'idea di un mondo in cui eventi come questo potrebbero non far notizia, per esempio). Il problema è che non si è capito cosa volesse significare l'hashtag: perché sì, ok, se vuol dire supporto ai poveretti che hanno perso la vita più o meno tutti siamo d'accordo (e suppongo che quelli che non sono d'accordo marciscano in galera già da parecchio tempo o stiano per andarci), se invece significa difendere la libertà di Charlie Hebdo di pubblicare quel che pubblicava è un'altra storia. E qui, manco a dirlo, si sfora in campi di cui è estremamente difficile delimitare i confini: in questo caso, essi sono religione, satira e libertà. Partiamo dal primo.
Fare satira sulla religione per chi si definisce ateo è come per gli onnivori fare satira sui vegani: troppo facile. È troppo facile e intellettualmente disonesto prendersi gioco di ideali che non sono i propri: è lecito contrattaccarli e smontarne l'impalcatura etica, ma in un dibattito filosofico e con argomentazioni di una dialettica degna di questo nome, non con qualche parola volgare sparata senza scopo e senza meta come i botti a Capodanno nei quartieri malfamati, perché altrimenti scompare la differenza fra il "giornalista satirico" e il bullo delle superiori che ti scriveva le offese sul banco. Io, per esempio, non sono vegana, e l'immagine di un maialino arrosto con la mela in bocca non mi suscita sentimenti di repulsione, tuttavia riconosco che ci sono persone che potrebbero rimanere ferite da ciò e perciò evito di pubblicare sulle loro bacheche immagini di questo tipo. Inoltre, per quel che mi riguarda, che ci crediate o meno, io provo una stima profonda per la causa vegetariana (forse un po' meno per quella vegana, a mio parere un po' troppo esagerata) e ad urtarmi non sono coloro che ritengono immorale avere animali morti e cotti nel piatto, sono coloro che pretendono di spacciare le proprie idee come verità aventi fondamento scientifico. Insomma, dire "sono vegetariano perché mangiare animali è secondo me una cosa eticamente sbagliata" è perfetto, dire "sono vegetariano perché la carne fa male e il pesce pure perché contengono composti tossici come la cadaverina, la putresceina e la supercazzola" è errato perché si affermano cose totalmente infondate dal punto di vista scientifico. Io combatto chi fa disinformazione e getta fango sui ricercatori e sulla scienza in generale, non le convinzioni etiche del singolo, e credo che moltissimi dei problemi dell'umanità siano riconducibili a quest'incapacità dell'individuo di distinguere tra idea e seguaci dell'idea, teoria che tra l'altro spiegherebbe perfettamente perché questo mondo vada in malora nonostante la storia abbia partorito menti eccelse che hanno a loro volta sfornato pensieri innovativi e geniali che, pur essendo conosciuti e amati, non vengono applicati come Madama Ratio imporrebbe. Sullo stesso tronco si innesta la differenza fra la religione e i seguaci della religione e successivamente fra la religione e il potere. Che vi piaccia oppure no, religione e potere sono due cose diverse, anche se c'è chi amministra contemporaneamente l'una e l'altra: è dunque lecitissimo fare satira sul papa o chiunque altro quando lo si presenta come uomo di potere, ma non come uomo di fede. Il potere è sempre stato il bersaglio della satira, non le idee, non le razze, non le religioni, non i sessi né qualsiasi altra cosa vi passi per la mente. Le pouvoir, la politique. Come si fa allora a scindere religione e potere, che spesso appaiono legate a doppio filo? Il metodo è meno difficile di quanto sembri.
È datata 20 settembre 1870 la Breccia di Porta Pia, l'evento cardine che mise fine al secolare dominio del papa sulla città di Roma e sui territori circostanti, che all'epoca dei fatti erano tuttavia stati quasi tutti già conquistati. Ebbene, come già ho scritto tempo fa, in quei secoli di potere temporale i cittadini dell'Urbe, fieri eredi dello spirito latino, non erano rimasti certo con le mani in mano a farsi tiranneggiare dalla Curia e in certi periodi avevano anche rischiato la vita per attaccare alle cosiddette statue parlanti di Roma i fogliettini contenenti le loro audaci invettive contro il potere: sissignori, era satira a tutti gli effetti. Eppure nessuno potrebbe certo affermare che i romani dell'epoca non fossero credenti, anzi, lo erano certamente più di adesso, ma sapevano ben distinguere i precetti della religione da quelli spacciati per tali o da quelli dichiaratamente temporali. Il segreto è porsi la seguente domanda: cosa avrebbe fatto un romano del Cinquecento? Vedete che magari vi vengono pure nuove idee.
Affermare di essere Charlie a tutti gli effetti provoca infine una reazione a catena devastante: se prendersela per un'offesa o una battuta di qualunque natura implica essere bigotti, allora via gli articoli 368, 594 e 595 del codice penale italiano che regolamentano rispettivamente la calunnia, l'ingiuria e la diffamazione, perché semplicemente tali azioni non esistono, esistono solo persone che non sanno ridere di se stesse! Perché mai deve essere processato quel mononeurone deambulante di Calderoli che tempo fa diede dell'orango alla Kyenge? Ve lo dico io: perché non l'ha offesa sul piano politico. Non ha criticato un suo disegno di legge, non ha fatto opposizione ad una sua proposta, non le ha dato della "politica inetta e incapace". Le ha dato dell'orango semplicemente perché era nera e, ultimi sviluppi alla mano, è stato pure assolto (ora voglio che facciate un "ohhh" di disapprovazione fingendo di stupirvi). Riflettendoci meglio, credo che i più arguti siano anche perfettamente consapevoli di questa distinzione fra le idee e i sostenitori delle idee, fra la religione e il potere, ma sfruttino volutamente l'incertezza dei molti sull'argomento per "propagandare", per così dire, le proprie idee. Insomma, dirà qualcuno, va bene che certa roba è pesante, ma è stata scritta su un giornale di satira, quindi non è stato fatto con intenti malvagi! Beh, ragazzi, novella saeculi: se io scrivo "la fessa ti mammata" su Cosmopolitan non diventa un consiglio di rimorchio solo perché l'ho scritto su Cosmopolitan! C'è modo e modo di far le cose e, sempre che vi piaccia oppure no, la libertà assoluta non esiste e anche se esistesse non ci sarebbe concessa - e meno male, dato che pure con quella relativa riusciamo puntualmente a metterci nei guai -. I giornalisti di Charlie Hebdo non meritavano certo la morte: nessuno merita la morte (a mio modesto parere nemmeno i carcerati colpevoli dei peggiori reati mai concepiti da umano intelletto, se intelletto si può definire quello di chi compie crimini atroci, ma questa è ovviamente un'altra storia), tuttavia i vignettisti sapevano a cosa andavano incontro, dato che le minacce erano arrivate frequenti e numerose e se non ricordo male c'era stato anche un altro attentato anni fa alla loro sede parigina. Hanno deciso di continuare a pubblicare senza apportare modifiche al loro stile e in un certo senso io ammiro questa caparbia perseveranza, ma quand'è che questa finisce per lasciare il posto all'ostinazione? Charlie Hebdo è diventato un simbolo, qualcuno l'ha eletto a martire del laicismo e ci scommetto la mia collezione di gatti di peluche che quel giorno, quando a Parigi hanno sfilato serrati i capi di Stato scortati da una folla immensa, in pochissimi abbiano veramente riflettuto autonomamente sulla vicenda allora appena trascorsa. La visione del terrorista come del male incarnato (beh, insomma, è in effetti piuttosto difficile che qualcuno offra un'interpretazione discordante su questo punto - e meno male, direi) ha offuscato automaticamente tutte le luci e le ombre dell'Hebdo, che quel giorno d'inverno a Parigi ha stramazzato a terra in un lago di sangue ma che nei suoi precedenti anni di vita non si è risparmiato nemmeno una delle frecce della sua faretra e, quel che è peggio, chi ha provato ad analizzare lucidamente la vicenda senza farsi trasportare dai sentimentalismi (che sono sì perfettamente naturali come reazione immediata ma a lungo andare corrompono l'analisi della realtà effettuale) è stato accusato di scaricare sulle vittime la colpa di questo barbaro massacro, nell'eterno, istintivo dualismo bene-male che si crea nella nostra mente sin dall'alba dei tempi e rappresenta la nostra primitiva, umana condanna.
Sì, i terroristi hanno tutte le colpe. L'Hebdo qualcuna in meno.