giovedì 6 febbraio 2014

Ars gratia artis

Reduce da una lezione di storia dell'arte sulla scultura nella Grecia classica e da un bombardamento mediatico circa la presunta eliminazione della suddetta materia dalle scuole (in realtà si sarebbe trattato di una riduzione delle ore, cosa peraltro già approvata e messa in pratica qualche anno fa, che tra l'altro sperimento io stessa), sento di aver voglia di parlare d'arte. L'Arte. Nell'antica Grecia era sotto l'alto patronato delle dee d'Elicona, le Muse, che sostanzialmente svolgevano il ruolo di segretarie di Apollo in quanto il laureato (nel senso di incoronato d'alloro, figurati se una divinità si prendeva la briga di studiare, anche perché lì acculturati si nasce) d'Olimpo governava così tante cose che ormai le sue vacanze di trecento giorni l'anno erano messe a dura prova, quindi decise di assumere quelle povere ragazze sottoponendole a orari di lavoro da incubo e stipendi da stagista di Camera Café finché queste non si ribellarono e iniziarono a prendersi i meriti delle loro opere. Del resto una gnocca in abiti succinti che si accosta all'artista di turno e gli sussurra languidamente all'orecchio "Stai scialla che ora ci penso io" è decisamente più poetica di un palestrato riccioluto che gli dice "Beh? E mo che famo?". Insomma, la vita scorre placida per duemila anni. L'Arte fiorisce, ma che dico? non solo fiorisce, ma crea un giardino lussureggiante di rarità ed esotismo. Chiunque si accosti ad essa, sia questo uomo o donna, giovane o anziano, plebeo o patrizio, europeo o asiatico, tronista di Uomini e donne o persona normale, non può fare a meno di restarne estasiato. E come potrebbe essere diversamente? L'Arte è la massima espressione del genio umano, è la summa maxima della bravura, dell'ingegno, della cultura, dell'osservazione. L'Arte non è fatta da tutti ma è fatta per tutti. Sembra dunque che proprio in virtù del rispetto di quest'ultimo assioma convenzionale dell'Arte le Muse indignate abbiano deciso di chiudere baracca e burattini e cominciare a delegare nuovamente tutto ad Apollo. Perché vabbè che sono divinità ma quando è troppo è troppo. Una pallina di creta con impronte digitali definita scultura? Una tela imbrattata di spruzzi di acrilico definita pittura? Un'accozzaglia di rumori agghiaccianti definita musica? Una fan fiction di una directioner definita scrittura? Eh no. Le Muse non ci stanno. Loro infondono il soffio dell'ispirazione, ma sta al corpo dell'artista saperlo accogliere e modellare degnamente. E fregiarsi di un tale titolo se non ci si è meritati nemmeno un'occhiata da parte del divino gruppetto è a tutti gli effetti un peccato di ὕβϱις. Credo che le ragazze stiano scioperando da un secolo e mezzo circa, più o meno da quando si è deciso che per fare arte bastava mettere due cose in croce, perché tanto poi la responsabilità di un'eventuale incomprensione dell'opera sarebbe stata da attribuire esclusivamente allo spettatore, reo di non avere abbastanza fantasia o profondità interiore per cogliere il messaggio dell'operatore (non ci regge il cuore di dargli in questo momento il titolo di artista, avrebbe detto Manzoni) o crearsene uno tutto suo seguendo la propria interpretazione. Ma l'Arte, prima di essere cultura, ingegno, genio, osservazione, è Bellezza, perché ammalia i sensi ancora prima che questi possano realizzarne a pieno la portata sotto qualsiasi punto di vista. E per quel che mi riguarda, l'Arte è semplicemente l'estasi della mia anima.

2 commenti:

  1. Bel post, complimenti! In termini leggermente diversi, avevo parlato di questa perdita di aura in riferimento alla poesia, a partire dal discorso di Montale alla cerimonia del Nobel: la massificazione ha diffuso l'idea che chiunque potesse produrre arte, poesia, letteratura, musica, il che ha come lato positivo una sorta di democratizzazione e differenziazione delle tecniche, dall'altra una svalutazione e una perdita di pregio e bellezza che non finiremo mai di pagare.

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  2. Per dirne una: recentemente è stato pubblicato un libro scritto da una ragazzina quattordicenne che trattava in maniera a dir poco ridicola tematiche delicate quali l'autolesionismo e il suicidio. Una schifezza dichiarata, insomma, al pari dei libri di Barbara d'Urso (che Dio ce ne scampi). Fra i commenti di scherno, una buona parte diceva: "e io che sto scrivendo il mio romanzo e mi sto impegnando... è pieno di excursus storici, approfondimenti, è bello, bellissimo, purissimo e levissimo perché lo dice pure il cane del cugino della zia del cognato! Se pubblicano lei perché non pubblicano me?". Mi fa rabbrividire che l'autostima di tutti questi sedicenti scrittori venga pesantemente incrementata dalla constatazione dell'esistenza dello schifo assoluto. Ci vuole così poco per credersi artisti? È come se un potenziale dannato della Tolomea dantesca ridesse della sorte di Giuda, Bruto e Cassio.

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