giovedì 24 aprile 2014

In illo tempore erat Italia

Domani è il 25 aprile. Non so quanto questo possa significare per l'Italia di oggi nell'Italia di oggi, ma... c'è una strofa dell'inno nazionale, la seconda, per la precisione, che ho imparato a memoria a otto anni e da allora mai più dimenticato. In genere la conoscenza della musica delle musiche si limita al ritornello, o, se va bene, alla prima strofa, perché alla fin fine la intonano i calciatori prima dei Mondiali (badate, non ho detto che la intonino bene, difatti spesso la conoscenza della prima strofa si limita a degli ignobili ed incomprensibili mormorii), ma non va oltre.
Noi fummo da secoli / calpesti, derisi / perché non siam popolo / perché siam divisi. / Raccolgaci un'unica / bandiera, una speme: / di fonderci insieme / già l'ora suonò.
Il 25 aprile è l'anniversario della Liberazione d'Italia. Che titolo altisonante! Un vocabolo lungo dal significato astratto e il nome di una nazione: suonano proprio bene insieme. La fine della dittatura fascista e del giogo nazista sono senza dubbio eventi degni di essere celebrati e ricordati in eterno: lo dimostra il fatto che la gente qui continui in fondo a giustificare Mussolini e i suoi accoliti con un frasario che va da "ha fatto anche cose buone" a "l'unico suo errore è stato allearsi con Hitler", dimenticando (o magari ignorando, volutamente o meno) qualcosa come l'affare Matteotti o le leggi razziali. Almeno i tedeschi hanno il buon senso di vergognarsi apertamente quando si parla di questa ferita ancora aperta; noi invece no. E perché? Perché noi siamo italiani, dannazione! Siamo naturalmente refrattari a qualsiasi ammissione di colpevolezza perché viviamo cullati nell'abbacinante convinzione di essere brava gente: sempliciotti, sì, ma quanto basta per essere affabili e sapersela al contempo cavare negli affari della vita. Probabilmente se dovessimo darci un voto in comportamento ci daremmo, tutto sommato, una sufficienza piena, ma sentiremmo dentro di meritarci il massimo. Viviamo alla spicciolata, campiamo di rendita su un passato glorioso che, è vero, ha posto le basi della società occidentale, ma è pur sempre passato e qualcosa per il futuro la dobbiamo costruire. Pensiamo che andare in chiesa la domenica ci renda moralmente integerrimi ma alla fin fine di carità cristiana fra il popolo se ne vede tanta quanta ce n'era fra la plebe della tarda repubblica, e poi vabbè commetto questo peccatuccio ma s'ha da fare per campare, Dio capisce e perdona e così via, fino alla fine dei tempi. E poi, oh, quel morboso, ossessivo, patologico attaccamento alla famiglia! Come se si trattasse di un ideale per cui dar la vita, come se fosse una delle tante tradizioni assimilate e tramandate per partito preso e non perché si fosse davvero convinti della loro validità. Respiriamo a pieni polmoni un'aria satura di lacrime, di lamenti non impotenti ma nolenti, perché siam così, stanchi di tutto e desiderosi di nulla, pronti alla lagna e indifferenti all'azione, benevoli con gli strappi alla regola però shh, che non si sappia!, sempre in ritardo perché in fondo la vita è una sola e io non sono mica una macchina, indulgenti coi peccatori perché tanto lo fanno tutti e con sé stessi perché alla fine una chewing-gum in più a terra non fa mica la differenza. Per non parlare delle becere affermazioni di stampo campanilistico, dell'eterna guerra fra Nord e Sud di cui nessuno vuol parlare ma a cui nessuno vuol porre la parola "fine". Eppure! Eppure noi siamo quelli dei Greci e dei Romani, siamo quelli di san Francesco, di Dante, di Colombo, di Leonardo, delle cinque giornate di Milano e delle quattro giornate di Napoli, degli angeli del fango di Firenze, siamo quelli dei castelli in ogni paese, delle usanze millenarie e del romanticismo senza tempo, delle colazioni che si offrono e dei regali senza motivo, siamo quelli dello straordinario quotidiano. Più che la lingua o la storia, ad unirci sono visibili vizi e inosservate virtù, entrambi elevati all'ennesima potenza, di modo che noi possiamo fornire al mondo l'esempio di cosa significhi davvero essere agli antipodi: noi nasciamo con una guerra intestina di personalità già efficacemente codificata nel nostro DNA. Ahi, Latin sangue gentile, che buffo che ad unirci sia la bandiera dei nostri comuni e continui difetti e dei nostri rari ma inenarrabili pregi! Che volete farci? Noi italiani siamo santi e femminari, siamo poeti e imbroglioni, siamo navigatori e mafiosi. Siamo genio e sregolatezza! Viviamo su un'arca forse destinata ad affondare: almeno però avremo la certezza che, se e quando affonderemo, lo faremo con la consapevolezza di aver lasciato un segno. Positivo o negativo? Entrambi, credo: il Creatore avrà un bel daffare nel decidere in quale dei regni dell'oltretomba smistare le nostre anime divergenti.

Nessun commento:

Posta un commento