giovedì 1 maggio 2014

De servitudine risus

Ho pensato molto prima di scrivere questo post. Voglio dire, io penso sempre un sacco, ma stavolta mi sono impegnata a tal punto che perfino i più stacanovisti tra i miei neuroni, a dispetto della crisi nel mercato del lavoro, hanno chiesto il licenziamento e m'hanno pure fatto causa per sfruttamento. Ora la mia scatola cranica è più vuota di quella dell'utente medio di Internet. La parola medio, ovviamente, è intesa nel senso "internettiano" del termine: non allude, cioè, ad un qualcosa che effettivamente ha riscontrato una frequenza media in dati statistici, ma a qualcosa di altamente disprezzabile in quanto perfetta sintesi degli attributi della massa (termine che va molto di moda) da cui l'homo loquens, chiaramente, si discosta. L'utente medio non è medio per niente, anzi, è la summa maxima di tutti i vizietti e i difettucci che ciascuno di noi ritiene tali e attribuisce perciò, forse perfino inconsciamente, al prossimo.
Il titolo del post mi è stato ispirato proprio dal mondo del web e il suo significato italiano è "Sulla schiavitù della risata"; una particolarità della frase, che fortunosamente riesce a mantenere anche in italiano, è il fatto che sia incerto se il genitivo "risus" sia oggettivo o soggettivo: se, cioè, in altre parole, la risata sia la schiava o la padrona. Navigando nei meandri dell'universo in linea capita da sempre di imbattersi in battute più o meno ironiche, sarcastiche, umoristiche, satiriche, comiche o perfino insinuanti e offensive verso chicchessia, e quasi nessuno è capace di operare le opportune distinzioni, tanto è solo una battuta, l'importante è che si rida e basta, senza pensarci. Fatevi una risata, smettetela coi moralismi sono i cavalli di battaglia del sostenitore della risata a tutti i costi, di quello che probabilmente, mentre fa scorrere velocemente lo sguardo sui film che trasmettono la sera in TV, elimina automaticamente quelli drammatici perché tanto sono tristi e si sofferma invece solo sulle commedie. L'importante è ridere: se una cosa è stata fatta per ridere, bisogna ridere e basta. Come... macchinette. Come automi a cui viene fornito uno stimolo e da cui ci si aspetta una determinata reazione. Né più né meno che meri robot, incapaci di sperimentare l'effimera ebbrezza del possesso e del conseguente uso di una delle qualità che ci rende umani: lo spirito critico. Analizzare da sé ciò che ci viene propinato e riconoscerlo come giusto o sbagliato a seconda della propria personalità ci consente di non conformare quest'ultima al senso comune. È vero, quello che può essere irrispettoso per uno può essere normale per l'altro, ma penso di poter affermare che in linea di massima vi sono argomenti che ognuno di noi riconosce come particolarmente delicati e sente di dover trattare con le pinze perfino quando si sconfina nel vasto e dilettevole campo dell'umorismo nero. Per la cronaca, l'umorismo nero è per definizione macabro e non adatto ai più sensibili, ma ciò non significa che non meriti d'essere preso di mira quando scivola anch'esso nelle volgarità, che nella stragrande maggioranza dei casi sono totalmente ininfluenti all'effetto finale della battuta e riescono soltanto a trasformare quella raffinata boccetta di cianuro che dovrebbe essere l'ironia macabra in un ammasso di coltellacci grezzi. Sì, l'ironia, umorismo, sarcasmo (scegliete il termine che preferite: ognuno di essi ha leggere sfumature di significato rispetto agli altri due ma in questo mare magnum di superficialità perdersi nelle disquisizioni lessicali è l'ultima cosa da fare) sono armi, armi vere e proprie, di cui è stato sottovalutato per troppo tempo l'immenso potenziale. Armi perché consentono di trasmettere e soprattutto promuovere un preciso pensiero celandolo abilmente nell'ottica del vedo-non vedo e modificando così, prima delle coscienze dormienti dei lettori, il senso comune, a cui in seguito essi si adatteranno. Se qualcuno probabilmente facesse affermazioni esprimendo un suo pensiero, si ritroverebbe contro un sacco di oratori improvvisati; ma se lo stesso qualcuno trasformasse il suo pensiero in una battuta, lo renderebbe automaticamente simpatico, se non immediatamente condivisibile, al grande pubblico. Bisogna prendere atto anche della presenza, seppur misera, di chi fa battute pesanti od offensive senza rendersene conto, anche se raramente si riesce ad ottenere qualche mea culpa. L'umorismo e la comicità sono concetti intrinsecamente positivi, che causano ilarità o comunque strappano un sorriso: comportamento deplorevole se si sta parlando di temi delicati, ma che diviene accettabile proprio quando ci si fa scudo dell'ironia, cioè del dire una cosa per intendere il contrario. Ecco perché una battuta è un mezzo potente: perché, come in un fugace Carnevale, consente di dire e fare quello che non si potrebbe dire e fare in un contesto serio, lasciando però al lettore la facoltà di intendere ciò che vuole e di leggere fra le righe. La risata sana e pura, senza fini subdoli ma al contempo senza dirompente stupidità, è qualcosa di estremamente difficile da suscitare (non a caso Peppino De Filippo disse che far piangere è meno difficile che far ridere). E ridere è bello, e far ridere è un'arte, ma come in ogni arte... bisogna stare attenti ai falsari.

Nessun commento:

Posta un commento