giovedì 15 maggio 2014

Mater semper certa est, pater...

C'è una pubblicità, realizzata dalla nota marca spagnola di abbigliamento Desigual in occasione della festa della mamma, che ha fatto discutere, e anche parecchio. Il perché è presto detto: per la cronaca, si può visionare lo spot non censurato qui. Insomma, c'è una tipa dall'aria sveglia e seria come Lindsay Lohan dopo un tratto di cento chilometri in autostrada che prima si ficca un cuscino sotto lo striminzito e caleidoscopico vestitino che indossa e poi, con aria ammiccante, buca con un ago una fila di preservativi. Egggià. In primis, più che del messaggio veicolato dallo spot mi preoccuperei delle smorfie della modella che ricordano da vicino l'aberrante copertina dell'ultimo libro di Barbara d'Urso. In secundis, ricorderei al mondo una delle regole di Internet: non date da mangiare al troll. Non fomentate le provocazioni, insomma, lasciate perdere: quella della Desigual, così dichiaratamente frivola e sfacciata, non è nient'altro che una provocazione. Fastidiosa, certo; irritante, pure: ma, diciamocela tutta, ormai è stata già condannata alla damnatio memoriae come in effetti meritava. A prescindere dal clima caldo della politica in Spagna circa la revisione della legge sull'aborto e lo scimmiottamento dall'hashtag #yodecido (sostituito, come si è visto, con #tudecides), la pubblicità fa schifo anche perché se resti incinta col cavolo che poi ti puoi permettere di indossare quei due straccetti intinti in una colorazione fatta arrivare dritta dritta con la DeLorean dagli anni Settanta (e poi, cento euro per una borsa? sticazzi!). Come ha detto un utente a casaccio su Internet, per rendere la pubblicità ugualmente spiritosa ma non offensiva sarebbe bastato che la ragazza si fosse limitata a gettare i preservativi in un cestino. Ok, non a tutti vengono in mente queste folgoranti ideone degne dei gradini più alti dell'Iperuranio platonico, ma... davvero? Un altro spot che dipinge la donna come la solita strega che trama alle spalle dell'uomo, novella Medea che si vanta di tirare da sola i fili del ciclo vitale della propria prole? I prototipi dell'avvelenatrice e della femme fatale sono fuori moda, e al massimo vanno bene per le attrici di Hollywood che hanno a che fare con complotti e intrighi internazionali e indossano attillatissimi vestitini rasofiga, non per qualcuno che dovrebbe "impersonare" sul piccolo schermo la donna media. Nella realtà i figli si fanno in due e si decidono in due: alla portatrice di vaggiaina spetta anche la panza porta-erede e pure la distribuzione capillare di latte della Lola, ma per il resto le responsabilità si condividono. Maternità e paternità sono due facce della stessa medaglia, ma ciò non significa che siamo perfettamente sovrapponibili: l'istinto materno, in genere, entra in azione prima di quello paterno (E MI SEMBRA PURE GIUSTO) e inoltre vanta un legame fisico col pupo che il padre si può solo sognare. La capacità di avere in sé le forme di vita nel loro stadio embrionale è dall'alba dei tempi il segno che ha contraddistinto l'intero genere femminile, che da quel momento in avanti è stato valutato (e, ahimé, "condannato") proprio in virtù di questa sua magica capacità. Col ribaltamento dei tempi è invece avvenuto qualcosa di diverso: anziché far "sanare" il rapporto tra maternità, femminilità e società si è deciso di rendere l'una nemica dell'altra, di rendere le donne uguali e non pari agli uomini, di demonizzare la femminilità come qualcosa di frivolo e accettandola solo qualora avesse accolto in sé certi viril costumi (non a caso fra le stesse donne è motivo d'orgoglio essere considerato il maschiaccio del gruppo) e di relegare la maternità in un angolino quasi di disprezzo. No, non intendo affermare che avere figli (e non sfornare marmocchi, prego) sia l'unica e sola via di realizzazione per una donna, affatto, né che sia una cosa che bisogna fare e basta o che porti solo gioie come angelicamente descritto da qualche nonna con dichiarati problemi di Alzheimer: tuttavia, negare l'importanza di un tal argomento nella vita femminile, qualunque sia l'opinione di ciascuna mammifera in questione, sarebbe oltremodo ipocrita. Abbiamo bisogno di scrollarci di dosso l'immagine della madre martire e angelo del focolare, vero, ma non della madre che antepone il bene della prole al suo: non dobbiamo correre il rischio di passare da un estremo all'altro come invece è stato disgraziatamente fatto. Non c'è bisogno che la genitrice, dopo il parto, annulli la sua personalità in favore del mantenimento dei propri figli, ma allo stesso tempo è necessario che sacrifichi a loro una parte più o meno consistente del suo tempo. Voglio insegnare alle donne come si fa la mamma? No, ovvio (ammetto inoltre che in un giorno più o meno lontano mi piacerebbe eccome avere eredi). Ma, come al solito, in medio stat virtus: non era la maternità in sé una cosa negativa, era il modo in cui veniva presentata alle donne ad esserlo, e il fatto che certa gente non abbia saputo distinguere e discernere questi due concetti ha perfino cambiato la storia. Hanno voluto insegnare alle donne ad essere come gli uomini, ignorando però che questi non fossero affatto modelli di perfezione e che magari, in certe occasioni, lo sforzo del prendere esempio dall'altro sesso sarebbe dovuto toccare a loro.

Nessun commento:

Posta un commento