domenica 8 giugno 2014

Chartacaeus spiritus - La chiave di Sarah

Ho letto questo libro in due giorni, forte del fatto che ormai siano iniziate le vacanze estive e possa dedicarmi finalmente cuore e anima alla mia passione. E ho anche deciso di inaugurare questa nuova rubrica perché, dopo aver letto certi libri, sento l'impellente bisogno di dire qualcosa, anzi, di scrivere qualcosa, e devo pure farlo subito, sennò poi me ne dimentico. Ah, e ci saranno tutte le anticipazioni possibili e immaginabili, perché quando scrivo non riesco a trattenermi.
Allora.
Ho letto questo libro in due giorni (sono più o meno 320 pagine, la lettura è scorrevole e anche in vacanza io mi sveglio naturalmente alle sei del mattino): il tema trattato è qualcosa di altamente inflazionato, l'Olocausto, ma almeno qui l'autrice ci risparmia le descrizioni strappalacrime dei campi (che, intendiamoci, erano davvero raccapriccianti, ma molti autori si ostinano a scivolare in patetiche ridondanze) perché Sarah, la protagonista, riesce per sua fortuna a scamparvi, ma ad un prezzo enorme. La storia si sviluppa su due archi temporali: il primo, il 1942, l'epoca di Sarah; il secondo, il 2002, il tempo di Julia Jarmond, la donna che indaga su di lei. Sarah Starzynski è una bambina ebrea di origine slava che vive a Parigi con il padre, la madre e il fratellino Michel, di quattro anni. Il 16 luglio 1942 la sua famiglia è una delle vittime del rastrellamento del Velodromo d'Inverno, ma ad arrestare gli ebrei stavolta non sono i nazisti: è la polizia collaborazionista francese. Durante i momenti concitati dell'arresto, mentre i genitori di Sarah preparano le valigie per quel viaggio senza ritorno, la bambina chiude a chiave il fratellino Michel nell'armadio a muro, dotandolo solo di una torcia e un po' d'acqua, e gli promette di tornare. Madre, padre e figlia dunque sono spediti prima al Velodromo, in condizioni disumane, e poi separati per sempre al campo: i genitori, nuovamente trasferiti, terminano poi i loro giorni ad Auschwitz, ma Sarah riesce a scappare dal campo con un'altra bambina, Rachel, grazie ad un foro nel filo spinato e ad un moto di pietà di un poliziotto. Dopo una corsa senza fiato per sfuggire alle autorità, le bambine giungono esauste alla cascina di un'anziana coppia di coniugi e vengono da loro salvate: Rachel, malata di dissenteria e bisognosa di cure, non può nascondersi durante la retata nazista e viene catturata (a nulla valgono i tentativi di farla passare per la nipotina dei due signori), ma Sarah scampa ancora una volta al suo destino infausto e chiede poi ai suoi salvatori di accompagnarla a Parigi per andare a liberare il fratellino. Quando torna a casa sua, però, la trova occupata da un'altra famiglia: disperata, apre l'armadio segreto con la chiave che aveva tenuto con sé e scopre il cadavere del piccolo, morto d'inedia, il cui tanfo era attribuito dalla nuova famiglia ad un malfunzionamento delle condutture idriche. Ad assistere a quella scena scioccante, oltre alla bambina e ai suoi accompagnatori, ci sono due dei componenti della nuova famiglia, ovvero il padre e il figlio (la madre saprà solo molti anni dopo cos'era accaduto). E questo bambino che aveva visto piombare nella sua nuova casa Sarah e aveva assistito al macabro ritrovamento diverrà poi il suocero della protagonista "moderna", ovvero Julia. Sarah verrà poi adottata dai suoi salvatori e cresciuta come figlia loro accanto alla loro prole naturale: tenterà di scappare dal passato partendo per gli Stati Uniti, dove si sposerà e avrà un figlio, ma, incapace di dimenticare e attanagliata da una lacerante senso di colpa per la morte del fratello, si suiciderà. Per la cronaca, la parte interessante è solo quella storica che ho appena raccontato: le vicende di Julia, invece, che prima vengono narrate in parallelo a quelle di Sarah e poi occupano tutta la seconda parte del romanzo, sono una noia mortale. Giuro che avevo previsto e indovinato tutto.
Indy: - Beh, sei la Pizia... se non fosse successo, mi sarei preoccupata.
Giusto.
Julia, invece, inizia ad interessarsi alla storia quando le viene chiesto di scrivere un articolo sul sessantesimo anniversario del rastrellamento del Velodromo d'Inverno. La tipa, infatti, è una giornalista americana che vive a Parigi perché s'è sposata un francese e incarna il perfetto stereotipo della donna in carriera, dotata perfino di un capo stronzo, una fidata coppia di amici gay e tre amiche comprensive. Ha fatto una figlia con un cretino che probabilmente a diciott'anni era il belloccio del liceo, che l'ha pure tradita con la sua vecchia fiamma e quando è finalmente rimasta incinta dopo una serie di aborti spontanei le ha chiesto di scegliere fra lui e il bambino (curiosità: nel frattempo lui continuava a tradirla con l'altra donna). Ho previsto che sarebbe scappata dalla clinica per abortire quando durante l'attesa stava riflettendo sul suo consenso alla decisione del marito; ho previsto che lei e lui si sarebbero separati definitivamente sin dall'inizio del romanzo (una riconciliazione sarebbe stata troppo scontata); ho previsto che avrebbe chiamato la sua seconda figlia Sarah perché il suo nome non veniva mai menzionato anche in scene in cui sarebbe stato necessario; ho previsto che dopo il divorzio dal francese belloccio si sarebbe messa col figlio di Sarah Starzynski (a cui era stata lei a rivelare la vera identità della donna) perché quando dice di essersi trasferita a New York accenna anche ad un nuovo compagno, tale Neil, con cui sta non perché è innamorata ma perché le piace la sua compagnia e non voleva stare da sola. Insomma, passione zero (consiglio: sii più onesta con te stessa, comprati un gatto). Ho avuto la conferma di ciò che avevo supposto quando ho letto che anche il figlio di Sarah, che invece viveva in Italia, si era trasferito a New York (non era ancora stato menzionato nemmeno il fatto che anche lui avesse divorziato, ma avevo intuito che il motivo del trasferimento per lui doveva essere quello).
Insomma, o io ho un intuito sherlockiano (sì che ce l'ho) o il libro, tolta la parte storica, è un romanzetto rosa di poco conto. Io direi entrambe le cose.

Nessun commento:

Posta un commento