giovedì 26 giugno 2014

Pro pueris

Qualche giorno fa è stato il compleanno di mio nonno e la famiglia ha deciso di festeggiarlo al ristorante: al momento del taglio della torta e delle foto di rito si avvicina incuriosito un bambino di un tavolo vicino, scappato per un attimo al controllo dei genitori, e rimane per un po' a guardarci in timida attesa di qualcosa. Al che noi, sorridendo, decidiamo di offrire al piccolo una fetta di torta e il bambino, incuriosito, inizia a mangiarla lentamente. Pochi istanti dopo al nostro tavolo si presentano i genitori del pargolo che, scusandosi con tutti i crismi e sgridando il figlio, provano a riportarlo al loro posto, ma in conclusione finiscono per restare anche loro al nostro tavolo perché decidiamo di offrire anche a loro un po' di torta: al compleanno di mio nonno, insomma, si sono uniti per sbaglio o per caso anche dei simpatici sconosciuti, e a farci "incontrare" è stato proprio il loro bimbo. L'aneddoto serve a dimostrare e certificare che non tutti i marmocchietti di questo mondo sono delle pesti scatenate o dei flagelli divini come invece vorrebbe un diffuso luogo comune ultimamente (e ulteriormente) alimentato dalle panzane animaliste secondo cui al ristorante sarebbe meglio portarsi appresso un cane che un bambino perché il primo non dà fastidio e il secondo sì. Il problema è che la bestiola, per quanto tenera, pulita e addestrata possa essere, è... una bestiola, ovvero un sacco ambulante di peli che credo non sarebbe igienico far finire nella propria faringe tramite il cibo ingerito. Il bambino, invece, è appunto un bambino, un cucciolo di umano e quindi un umano, e tra l'altro dare le colpe di un suo eventuale malcostume esclusivamente ai genitori è puramente semplicistico. I miei, per esempio, si sbattono da anni per insegnarmi a stare seduta composta, e sebbene col passare del tempo abbia capito di dover tenere un certo contegno davanti agli altri, in un ambiente privato non esito ad abbarbicarmi su una qualsivoglia superficie piana di ampiezza variabile come una contorsionista romena. Bene, un bambino non ha questa concezione del pubblico/privato né tanto meno ha la statura morale (nemmeno quella fisica, in verità) sufficiente per discernere quali siano i comportamenti eticamente corretti. Agisce come gli pare e piace e basta. Poi è ovvio che ci siano anche i genitori cafoni che lasciano la propria prole libera di scorrazzare ovunque senza sgridarla nemmeno una volta con la scusa che tanto so' ragazzi (vediamo poi quanto sono carini quando vi fanno a pezzi il vaso della nonna), ma generalizzare così mi sembra oltremodo scorretto. Così come ci sono bestiole educate e maleducate, ci sono bambini educati e maleducati. E per quanto i padroni (nel primo caso) o i genitori (nel secondo caso) si possano affannare o meno a dar loro un'educazione adatta, molto dipenderà dalla personalità del subordinato, sia esso un cagnetto o un bimbo. Io sono dell'idea che non bisogna "scegliere", che ognuno ha le proprie inclinazioni e se preferisce può prendersi un cane, avere un bambino o, perché no, entrambe le cose, ma dire che la prima è uguale alla seconda è un'idiozia della peggiore specie. L'amore va fornito ad entrambi, ma nella giusta misura: all'animaletto di casa non deve spettare lo stesso affetto di cui gode il pargolo, perché, come già detto, è un animaletto. Ciò non significa assolutamente che della bestiola si possa abusare a piacimento: sono ovviamente contraria a qualsiasi forma di violenza gratuita verso gli animali, ai loro abbandoni, al loro sfruttamento e a tutto quanto concerna quell'ambito, anche perché non c'è bisogno di conoscermi molto approfonditamente per scoprire che ho cinque gatti e che l'unica femmina fra questi ha partorito circa venti volte, dandomi modo di rinnovare ogni volta i miei sentimenti di eccitazione ed emozione per la vita che viene al mondo, ma la mia esperienza coi felini (che, per la cronaca, sono liberi di scorrazzare sui miei balconi, in giardino e in tutte le benevole case del vicinato, quindi non sono certo palle di pelo da salotto) mi è servita anche a ricordarmi costantemente con quali esseri sto avendo a che fare. Mamma gatta non si è fatta scrupoli a divorare impunemente alcuni suoi cuccioli sani (che faccia fuori quelli malati è ahimé la norma, che si pappi pure quelli sani no, e giuro su Artemide che i croccantini non le mancavano affatto) né gli altri felini hanno concesso sconti a rivali in amore o a prede ferite. Una volta andammo ad un matrimonio e, ignari del fatto che saremmo tornati a casa ad un'ora decisamente tarda, demmo al gruppetto di felini soltanto la razione del pranzo; rincasati a notte fonda, trovammo il balcone insozzato di sangue, piume e penne: in mancanza d'altro, i gatti avevano lautamente banchettato con un paio di sfortunate gazze. Mi sono presa la libertà di parlare dei miei micetti non perché questo articolo sia effettivamente incentrato su animali e animalismo (o almeno non era questa la mia intenzione iniziale), ma perché credo che l'esaltazione della bestiola per molta gente sia quasi la colonna portante di un sistema atto a sostituire e demonizzare la prole, che di questi tempi tra l'altro non gode di buona fama grazie anche ai colpi inferti da... uhm, diciamo una particolare branca di femministe estremiste che non ci tengono affatto a distruggere lo stereotipo della zitellona acida e gattara (a dire il vero nemmeno io sarei una buona pubblicità, ma giuro che non sfioro nemmeno lontanamente i loro livelli) e si proclamano libere e indipendenti dal giogo dei marmocchi. Talvolta gli insiemi degli animalari e delle nazifemministe si intersecano inesorabilmente, e dai che non ci vuole molto a fare due più due e a capire che non può essere una coincidenza. Sono perfettamente consapevole che i bambini non siano affatto peluche da sistemare su una mensola e da spolverare alle calende greche, ma possibile che nel giro di qualche decennio siano passati dall'essere il germoglio alla società ad avere la fama di branco di deformi mostriciattoli succhiasangue? Non si può semplicemente trattarli per quello che sono, ovvero cuccioli di esseri umani che hanno appunto la dignità di esseri umani, che non rendono né il paradiso né l'inferno la vita dei loro genitori, che non sono intercambiabili con un cagnolino ma che, tutto sommato, sono pur sempre nuove vite innocenti e quindi hanno una valenza positiva a priori? Io rabbrividisco davanti a determinate dichiarazioni di gente che si vanta (...) di disprezzare i bambini, perché in genere dietro a queste manifestazioni di modernità e di emancipazione da una concezione arcaico-ereditaria della famiglia si nasconde un certo rancore verso il genere umano (animali meglio degli uomini!!11!1!) e il nucleo familiare inteso come unità costituente dello Stato e come vero e proprio tessuto della società. Per alcuni forse si può anche parlare di fuga dalle responsabilità e di mancata presa di coscienza della propria fascia d'età (i bambini sono generalmente associati al definitivo tramonto della figura del genitore come figlio, sancita proprio dalla nascita della prole, che ufficializza anche davanti alla società il nuovo ruolo da adulto di un dato individuo), per altri di puro disprezzo per l'ordine costituito che appunto vede la famiglia come fulcro del tradizionalismo (sfornare marmocchi è retaggio del patriarcato!!11!1!), per pochi eletti di piena e rispettabilissima consapevolezza della propria inadeguatezza rispetto al ruolo di genitore. Il bambino, inoltre, felicemente ignaro di se stesso, tende ad abbattere inconsapevolmente le barriere sociali presentandosi, come mi è accaduto l'altro giorno, candidamente davanti a dei perfetti sconosciuti senza risultare molesto e mettendo in comunicazione un po' noi stessi col resto del mondo, facendo condividere a tutti un po' del proprio dolore con un pianto senza freni o un po' della propria gioia con una corsetta nei dintorni e ricordando a chiunque, e in primis ai suoi genitori, che al mondo nessuno è solo, che siamo un consorzio umano e che a volte sarebbe carino rendere visibili i sottili fili di ragnatela che ci uniscono l'uno all'altro. Il resto è fuffa.

Indy: - Sai che per una donna single scrivere un'apologia della maternità equivale a restare zitella, no?
Io: - Perché?
Indy: - Hai presente la tiritera di zia Jane sull'immaginazione, no? Bene, in questo caso la terza tappa l'hai nominata tu.

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