venerdì 12 settembre 2014

Servate Inferos

C'è una frase, tratta dalle Vite Parallele di Plutarco, che mi ha sempre fatto una certa impressione leggere e ancor più ripetere; pare infatti che Cesare, quando vide Bruto parlare in pubblico per la prima volta, disse: "Non sa cosa vuole, ma lo vuole fortemente". Parole lapidarie ma profonde, come solo il divo Giulio avrebbe potuto pronunciarle, e perfino terribili, perché come ogni cosa classica mi sembrano universali, ma in questo caso velatamente e anacronisticamente... rivolte a me. Coda di paglia? Forse sì, non lo nego. Bruto è passato alla storia come un cattivo, il cattivo: Dante l'ha praticamente relegato al centro della Terra per aver commesso il secondo crimine più abietto della storia dell'umanità, per aver ucciso la massima autorità terrena, l'allora detentrice del potere temporale. Ma Bruto è anche un uomo, quello a cui mi sento intimamente e spiritualmente più vicina, nonostante non riesca a perdonargli di aver fatto fuori proprio uno dei miei miti, oltre che uno degli uomini più grandi che la storia ricordi. Ci viene riferito che Cesare arrestò la sua strenua opposizione ai congiurati quando, quasi esanime, vide stagliarsi fra loro la figura di Bruto e, persa dunque ogni animosità, si accasciò a terra coprendosi dignitosamente il capo con la toga, non prima di aver sussurrato, tra il sorpreso e l'addolorato: "καὶ σύ, τέκνον;". Non so quanto ci sia di vero nell'immagine che mi sono creata di questo interessante personaggio, né francamente mi interessa appurarlo o meno (almeno non riguardo a questo proposito), ma rivelo di essermelo sempre figurato come squarciato da un lacerante tormento interiore, incerto se onorare il nome e la tradizione di famiglia come tutti si aspettavano o dar retta ad altre logiche, magari più personali. A scegliere per lui ci ha pensato il popolo se, come racconta proprio Plutarco, le statue del suo antenato tirannicida furono davvero prese di mira dagli audaci ma anonimi Romani e dai loro graffianti e insinuanti bigliettini che denunciavano a tutta l'Urbe la deplorevole inazione del rampollo dell'antichissima e illustre gens nei confronti del tiranno di turno. Non si sa se davvero Bruto fosse figlio di Cesare: la relazione di lunga data fra quest'ultimo e la di lui madre Servilia era certo nota a pressoché l'intera città, tuttavia pare improbabile che un ragazzo sui vent'anni o meno si intrattenesse con le auguste dame dell'aristocrazia: era certo molto più facile e probabile che se la spassasse con le schiave di casa o con le prostitute nei bordelli (e quando si parla del Divo e delle sue liaison non si può nemmeno lasciar passare sotto silenzio la celebre apostrofe rivoltagli dal Sommo: qualcuno rammenta dunque la regina Bithyniae?). Del resto, comunque, non bastano i legami di sangue a dar vita ad una famiglia, ed è proprio questo il mio cruccio: non essere in grado di provare ciò che ci si aspetterebbe da me. Volontariamente o meno, sono sempre stata sola: non mi sono mai trovata di fronte una persona davanti alla quale valesse la pena aprire se stessi totalmente e incondizionatamente, e anche quando credevo di aver trovato qualcuno di valido mi son sempre trattenuta dal creare legami importanti; ne avevo visto troppi sfaldarsi, sgretolarsi, crollare su se stessi, avevo visto amicizie e amori che parevano da antologia distruggersi e annientarsi, avevo consolato gente affranta e avevo giurato a me stessa che non sarei mai finita così. Non ho mai tollerato i fallimenti, e non li avrei sopportati nemmeno se si fossero verificati nella mia vita sentimentale, come è già successo con coloro che avrei dovuto amare incondizionatamente. Mi è stato insegnato a fidarmi solo di me stessa e della mia famiglia, ché almeno è sicuro che loro mi avrebbero voluto bene, ma ho obbedito solo al primo dei due comandi: nemmeno i miei parenti più stretti conoscono i miei moti dell'animo, essenzialmente perché mi sono troppo poco simili e le discordie quotidiane in casa, diverse dalle semplici scaramucce, ne sono l'irritante prova. I miei genitori sono come gli estremi di un segmento e io ho avuto la disgrazia di nascere punto medio: ho alcune affinità sia con l'uno sia con l'altro, ma in linea di massima per loro provo solo una muta e innaturale, ingrata indifferenza accessoriata da un pizzico di vergogna e una gran quantità di sensi di colpa per non provare rimorsi al riguardo. Mi sento vile per aver tradito così sfacciatamente i principi di amore universale ai quali avevo scelto autonomamente e ingenuamente di attenermi e per aver rifuggito gli affetti a priori, avendo deciso che il gioco non valeva la candela, e mi sento vile per aver lasciato talvolta tramutare la mia indifferenza in odio arrivando a pensare cose innominabili col solo scopo di causare quanta più sofferenza possibile, ma è anche vero che per ora tutti quelli che mi hanno galleggiato attorno si sono rivelati inaffidabili come avevo previsto e piuttosto che circondarmi di gente con cui dover misurare ogni parola ho preferito star da sola: sono un'ottima attrice ma una pessima bugiarda, e la volontà è il mio solo motore. Posso far tutto, basta che ne sia veramente convinta, e forse non sono mai stata capace di intrattenere una relazione interpersonale decente perché cercavo solo mie fotocopie ed ero eternamente incerta, incapace di venire incontro alla gente, tutta concentrata com'ero sul mio mondo e sui miei problemi. Non sono anaffettiva, anche se sono in molti a pensarlo: ho amore da dare, almeno credo, è solo che non so a chi, e ho paura che a furia di star nell'angolo quell'amore si sia già ammuffito o impregnato di bile e forse tanto vale che lo nasconda sotto il tappeto. Voglio dire... in questi anni mi sono creata volutamente la fama di inscalfibile e ne sono sempre stata piuttosto fiera, ma a conti fatti non so quanto mi abbia giovato. Che fare, allora? Provare a fingere un affetto che non provo ma che dovrei provare, o essere dura ma almeno sincera? Sfogarmi a ruota libera con qualcuno che mi convince e rischiare tutto? Star da sola e aspettare il momento in cui il mio animo, gonfio come un palloncino, esploderà, facendo saltar tutti dalla paura? Ci ho già messo troppe toppe e non so per quanto ancora resisterà: ogni volta che parlo, la conversazione vira a 180° e finisco a parlare di me. E poi non sto in pace nemmeno in sogno, ci sono più morti, stragi, perversioni e insensatezze nella mia testa di notte che nelle puntate de Il trono di spade. In ogni caso, rischierei di far male a qualcuno. Il mio problema è che sono come la luna: ho mille facce e sono tutte vere, e l'ho presa sul personale quando Giulietta ha rifiutato la proposta di Romeo di giurare proprio sulla luna, mio spirito guida, e anche se non credo nell'oroscopo mi sa che con me c'ha azzeccato in pieno. Sono poliedrica, non falsa (e anche molto distratta e confusa), e prima di essere capita devo essere sopportata. Probabilmente tutte le persone che mi hanno conosciuto nel corso degli anni darebbero di me descrizioni diverse: quando i miei compagni di classe mi hanno presentato come la secchiona del gruppo alle due nuove arrivate, quelle mi hanno detto che non ci credevano perché ero troppo bella per essere tale. Sentite, io non so chi sono e non so cosa voglio, ma lo voglio fortemente.

P.S. Sì, lo so, non è un articolo ma lo sfogo venuto male di una ragazza di Tumblr. Chiedo venia.

P.P.S. Ora che ci penso, ho deciso di fare la cosa più stupida e dirlo a tutto il mondo. E vabbè. Me ne pentirò fra poco. Anche perché mi sono accorta di aver scritto davvero male, questo testo ha l'armonia e la continuità di uno spettacolo pirotecnico. Bum. Bum. Bum. Badabum.

1 commento:

  1. "Novantadue minuti di applausi" :)
    ps. Per me non è scritto male, essendo abituato a deliri, orrori grammaticali e sintattici quali i miei.

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